I consumatori sono disposti a pagarlo? (Il Fatto alimentare)

Tutti siamo favorevoli, almeno a parole, a migliorare la qualità di vita degli animali di allevamento, ma siamo disposti a spendere di più per questo? E quanto costerebbe garantire agli animali migliori condizioni di vita? Ha provato a rispondere a questo interrogativo l’organizzazione europea di tutela degli animali Eurogroup for Animals, che ha commissionato all’Università olandese di Wageningen uno studio sui costi delle iniziative necessarie a migliorare il benessere dei polli da carne negli allevamenti di sei Paesi dell’Unione europea: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna.

I provvedimenti presi in esame si basano sulle indicazioni dell’European Chicken Commitment (ECC) – un’iniziativa per migliorare gli standard di allevamento e macellazione nella filiera dei polli da carne a livello commerciale concordata da una trentina di associazioni tra cui Compassion in World Farming, definita anche Better Chicken Commitment (BCC) – e sono in linea con l’opinione in materia espressa dall’Autorità europea sulla sicurezza alimentare (Efsa). Tra i principali provvedimenti richiesti ci sono la riduzione delle densità di allevamento, la transizione a linee genetiche a più lento accrescimento, la disponibilità di arricchimenti ambientali e l’utilizzo di sistemi di stordimento efficaci. Secondo i ricercatori olandesi il costo di questi provvedimenti, nei Paesi presi in esame incluso il nostro, sarebbe di 0,29 euro in più al chilo. “Si tratta però di modelli statistici basati su costi stimati”, spiega Monica Guarino Amato, ricercatrice del Crea Zootecnia e Acquacoltura. Inoltre bisogna capire cosa si intende per animali a lento accrescimento. “In Europa settentrionale – prosegue l’esperta del Crea – si definiscono con questo termine tutti i broiler che crescono meno delle linee genetiche a rapido accrescimento comunemente usate in Europa (come il ROSS 308 di AVIAGEN) che sono selezionate per lo sviluppo di petto e cosce e per la voracità che permette loro di raggiungere il peso di macellazione in quarantadue giorni”.

“Sebbene gli autori abbiano utilizzato i migliori dati a disposizione, hanno dovuto formulare alcune ipotesi per calcolare gli aspetti economici dei diversi sistemi di produzione – conferma Sarah Ison, responsabile ricerca di Compassion in World Farming – perché mancano informazioni dettagliate su specifiche razze a più lento accrescimento di polli da carne nella produzione commerciale, oltre che sul costo aggiuntivo dello stordimento in atmosfera controllata, un metodo di macellazione più rispettoso del benessere”. Anche se bisogna considerare che a prescindere dai costi, “i polli da carne allevati secondo il Better Chicken Commitment (BCC) hanno standard più elevati di benessere e sono più sani”. 

Il problema, sottolinea Guarino Amato, è quello di conciliare il benessere animale con le richieste del mercato: oggi nessuno più compra il pollo intero, per cui il mercato si concentra sulla produzione di animali con petti e cosce molto sviluppati, e i polli a lento accrescimento non incontrano il favore dei consumatori, perché hanno petti piccoli e in genere si devono cucinare interi. “Oggi in Europa – spiega la ricercatrice – sia i ricercatori che i movimenti per il benessere degli animali stanno cercando di incoraggiare linee genetiche con accrescimento più lento rispetto al ROSS 308 e un maggior grado di rusticità. Non sono realmente polli a lento accrescimento, che sarebbero macellati intorno ai novanta giorni, ma sono animali con un sistema immunitario più efficiente che si ammalano meno e arrivano alla macellazione, intorno ai cinquantasei giorni, in buone condizioni”.

E uno degli elementi essenziali per migliorare la qualità di vita degli animali è limitare la densità nei capannoni: in Europa attualmente sono previste tre densità, 42 kg al metro quadro, oppure 39 o 33 chilogrammi. “Si tratta comunque di densità notevoli, e spesso in Europa è adottata una pratica definita sfoltimento”, spiega Guarino Amato. Invece di inserire il numero giusto di pulcini tenendo conto del peso raggiunto alla macellazione, se ne mettono di più e poi si ‘sfoltiscono’ eliminando così circa il 20/30% degli animali, che sono venduti per prodotti di piccole dimensioni, come il pollo da rosticceria. “In questo modo si risparmia sui costi  – prosegue l’esperta del CREA – ma se si abbassasse la densità degli animali, a prescindere dalla linea genetica, starebbero meglio”. I costi di produzione salirebbero, “ma l’indice di conversione – la carne che si riesce a produrre con un chilo di mangime – potrebbe essere migliore, come abbiamo visto nei nostri allevamenti sperimentali dove la densità degli animali è molto inferiore rispetto a quella di legge”. Un vantaggio che sembrerebbe attribuibile alla minore competizione alla mangiatoia, e in generale al minore stress degli animali. Si tratta comunque di un problema complesso: “È importante garantire una produzione nazionale sufficiente per evitare che arrivino sul mercato carni importate da Paesi che non prestano attenzione alla biosicurezza o al benessere animale – sottolinea Guarino Amato – e garantire l’approvvigionamento delle materie prime necessarie per il mangime – che ha un ruolo essenziale per il benessere degli animali – e tutto questo senza penalizzare le categorie di consumatori più deboli”.

L’aumento dei prezzi potrebbe modificare anche le stime dei ricercatori olandesi. “Negli ultimi mesi, i costi dei mangimi, dell’energia e della CO2 utilizzata per lo stordimento in atmosfera controllata sono aumentati, il che probabilmente cambierà i parametri economici”, ricorda Ison, secondo cui conciliare costi e benessere animale è comunque possibile: “Nei Paesi Bassi –– sottolinea la responsabile ricerca Ciwf – i polli allevati con questo sistema di produzione a più alto benessere richiedono una quantità di antibiotici nove volte inferiore rispetto ai polli convenzionali, con conseguenti vantaggi in termini di costi.  È inoltre dimostrato che le razze allevate secondo il BCC necessitano di mangimi meno densi di nutrienti, il che riduce i costi di produzione”.

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