Come stanno i mari italiani? (Il Fatto alimentare)

Il 25 settembre 2023, nella splendida cornice di Palazzo Steri a Palermo, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) ha presentato i risultati di un’importante attività di monitoraggio dell’ambiente marino condotta nei mari italiani grazie alla Direttiva quadro della Strategia Marina 2008/56/CE. Ci siamo focalizzati su due degli 11 descrittori presentati: quello sulle specie aliene, come il granchio blu (numero 2), e quello sui rifiuti marini (numero 10).

Le specie aliene: cosa sono?

Le  specie aliene, o specie non indigene (Nis), sono quegli organismi introdotti nei nostri mari attraverso le attività antropiche, ossia ad opera degli esseri umani. In questo gruppo non si considerano le specie che entrano motu propriu, ossia che arrivano nei nostri mari a seguito dei cambiamenti climatici. Ci sono poi le specie criptogeniche, di cui non è possibile ad oggi individuare l’origine, poiché non si sa come abbiano raggiunto i nostri mari. Infine ci sono le specie dubbie, ossia quelle di cui potrebbe essere stato cambiato il criterio di classificazione nel tempo.

I principali veicoli di insediamento delle specie aliene sono i traffici marittimi, attraverso lo scarico delle acque di zavorra, il biofouling (organismi incrostanti presenti sulle chiglie delle navi). Ha un ruolo anche l’acquacoltura, che può determinarne l’introduzione sia volontaria che involontaria.

Dal 2015 nei nostri mari, suddivisi in in tre sottoregioni, i monitoraggi delle Arpa hanno individuato 78 specie non indigene. Nello specifico, 44 nel Mar Mediterraneo occidentale, 47 nel Mar Adriatico, 30 nel Mar Ionio e Mediterraneo centrale. Undici specie sono comuni a tutte e tre le sottoregioni.

Il granchio blu

L’esempio più conosciuto di specie aliena oggi è il granchio blu, divenuto famoso grazie al clamore mediatico scaturito dall’esplosione demografica della specie avvenuta nell’ultimo anno nell’alto Adriatico. Il conseguente impatto sugli impianti di molluschicoltura è stato devastante, in particolare sugli allevamenti di cozze e vongole dell’area dell’Emilia-Romagna e del Polesine. Anche le attività di pesca, in particolare quella artigianale, hanno risentito della presenza del granchio blu.

Il granchio blu, originario delle coste occidentali dell’Atlantico, è arrivato nel Mar Mediterraneo agli inizi del 1940. L’impennata della specie, tuttavia, si è verificata negli ultimi dieci anni in tutto il Mediterraneo, nel Mar Nero e lungo le coste dell’Atlantico orientale. La distribuzione puntiforme lungo le coste è ciò che ha permesso di ipotizzare l’introduzione involontaria attraverso le acque di zavorra. Il granchio blu è un vorace predatore con un’ “ampia valenza ecologica, che lo rende un potenziale invasore di successo”. Alcune sue peculiari caratteristiche sono la grande resistenza alle escursioni termiche e di salinità, e gli alti livelli di  fecondità.

Anche i cittadini hanno contribuito al monitoraggio del granchio blu. “Citizen Science Alien 2022-2023” è il risultato delle segnalazioni arrivate all’indirizzo alien@isprambiente.it e che ha permesso di individuare la specie in altre zone con dati in tempo reale.

I rifiuti marini

Argomento più o meno noto alla maggior parte della popolazione, quello dei rifiuti marini, al contrario delle specie aliene, riguarda direttamente ognuno di noi. Siamo tutti più o meno responsabili della presenza dei rifiuti che inquinano i nostri mari e le nostre spiagge. Il monitoraggio dei rifiuti marini, distinti in spiaggiati, gallegianti e microrifiuti, è stato effettuato dividendo il territorio in tre sottoregioni: Mediterraneo occidentale, Adriatico, Ionio e Mediterraneo centrale.

I rifiuti marini vengono identificati dalla dicitura marine litter. Si tratta di quell’insieme di oggetti costruiti e adoperati quotidianamente dalle persone e poi abbandonati o persi lungo la linea di costa e in mare. Sono compresi anche quei rifiuti che, dispersi sulla terra ferma, raggiungono il mare attraverso i fiumi, il vento, le acque di dilavamento e gli scarichi urbani. Rientrano in questa definizione tutti i materiali solidi persistenti (plastica, legno, metallo, vetro), ma non vi rientrano i residui semisolidi come oli, paraffine e altre sostanze chimiche.

Rifiuti spiaggiati e rifiuti galleggianti

I rifiuti spiaggiati sono i rifiuti galleggianti che vengono portati dalle correnti sulle spiagge. Tra questi il più comune è la cosiddetta calza per la molluschicoltura. Quest’ultima è costituita principalmente da polipropilene, un polimero molto resistente che, a causa della sua lenta degradazione, tende ad accumularsi con un forte impatto sull’habitat marino e sulla pesca. La zona con il più alto numero di rifiuti spiaggiati, soprattutto quelli della pesca e dell’acquacoltura, ad oggi è l’Adriatico. L’obiettivo posto dalla Comunità Europea ha come target di riferimento 20 rifiuti spiaggiati individuati in 100 metri di costa. Un valore basso, considerando che siamo passati da 460 oggetti per 100 metri del 2015 a 273 nel 2021.

I rifiuti galleggianti sono i protagonisti di un programma di monitoraggio (con relativo campionamento) fatto tra il 2018 e il 2022. Su un area di più di 2mila metri quadri, prendendo nota di tutti gli oggetti avvistati entro i cinque metri dall’imbarcazione, i ricercatori hanno evidenziato la presenza di 105 oggetti per km2 sulla fascia costiera e tre oggetti per km2 sulla fascia lontana dalla costa.

L’80% di questi rifiuti sono oggetti di plastica e il 20% sono monouso. I polimeri più presenti sono, in ordine di quantità, polietilene, polipropilene e polistirene. Si tratta di materiali che compongono gli oggetti più presenti nell’uso quotidiano. Il polietilene infatti è presente nei sacchetti non compostabili, nelle bottiglie o nei contenitori che utilizziamo in casa. Il polistirene è presente per esempio in stoviglie di plastica, contenitori per CD, imballaggi e isolanti espansi.

Dalla plastica alle microplastiche

Dallo sgretolamento degli oggetti in plastica si formano quelle che vanno a costituire il terzo gruppo di rifiuti marini: le microplastiche. Oltre a funzionare da substrato per l’adesione di inquinanti organici dispersi in mare, una volta ingerite provocano effetti deleteri dovuti al rilascio di composti propri come gli ftalati. Questi materiali possono agire come un vettore per il trasferimento di sostanze chimiche tossiche nella catena alimentare.

Strategia Marina e le Arpa inoltre, ottimizzando i costi, hanno utilizzato un Rov, un robot subacqueo a controllo remoto, per misurare contemporaneamente l’impatto dei rifiuti sui fondali marini. Su 95 siti analizzati, anche oltre i 100 metri, sono stati individuati più di due oggetti ogni 100 metri quadrati. L’86% di questi rifiuti sono legati all’attività di pesca (reti abbandonate).

I molteplici impatti dei rifiuti marini

Questi rifiuti hanno un forte impatto, e non solo sull’ecosistema. Sono state infatti individuate tre tipologie di impatto ognuno con una serie di effetti. C’è appunto quello ecologico (con effetti letali o sub letali su piante e animali per intrappolamento o ingestione). Ma c’è anche l’impatto economico con riduzione di turismo e pescato, e costi di bonifica. Infine c’è l’impatto sociale, con la diminuzione del valore estetico dell’ambiente.

Il patrimonio naturalistico italiano è di grande rilevanza e preservarlo è un’urgenza non solo in termini di sostenibilità ambientale, ma anche per la tutela dell’economia legata al turismo e per la fruizione di un ambiente sano per tutti. La sua salvaguardia non è solo compito delle istituzioni ma anche del privato cittadino. Le restrizioni e le leggi punitive da sole non bastano, si dovrebbe puntare su una maggiore sensibilizzazione delle masse attraverso la conoscenza del territorio e dei rischi a cui è sottoposto, ma non solo. Durante il convegno si è parlato anche del rumore che impatta sul mondo marino e, nei nostri mari l’inquinamento acustico generato dai natanti a motore come yacht, super yacht o navi da crociera, è una problema non indifferente e molto impattante. Quando si inizierà ad agire veramente?

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