Perchè il biologico al supermercato è imballato. (il fatto alimentare).

Grapefruits on a wooden table with green foliage on the background.

Molti lettori ci chiedono perché i prodotti biologici al supermercato sono tutti incartati, considerando anche il controsenso ambientale di questa pratica. Sappiamo che alcuni supermercati, ad esempio Conad e Iper, hanno delle “isole” di ortofrutta bio gestite da Almaverde. È l’unica possibilità per tenere l’ortofrutta sfusa non confezionata? Abbiamo chiesto un chiarimento a Roberto Pinton, consulente aziendale ed esperto di coltivazioni biologiche.

Salvo che per i prodotti per i quali sia generalmente previsto per legge (per esempio: oli di oliva, burro destinato al consumo diretto, formaggi freschi a pasta filata, eccetera) non c’è alcun obbligo di commercializzare i prodotti biologici soltanto confezionati: non a caso nelle vendite dirette dei produttori (in azienda o nei mercati) e nei negozi interamente biologici i prodotti sono tranquillamente venduti sfusi. Il reg. UE 848/2018, però, all’art.34 prevede che tutte le figure coinvolte nell’immissione sul mercato di prodotti biologici (siano produttori, trasformatori , importatori, ma anche immagazzinatori o distributori all’ingrosso o al dettaglio) debbano notificare la loro attività alle autorità competenti e assoggettare la loro impresa allo specifico sistema di controllo.

Il regolamento esonera dall’obbligo di notifica e da quello di essere in possesso del certificato (non certo dai controlli ufficiali) soltanto gli operatori che si limitino a vendere direttamente al consumatore prodotti biologici pre-imballati (sempre che non li abbiano né prodotti, né trasformati, importati o immagazzinati se non in connessione con il punto di vendita).

La grande distribuzione preferisce risparmiare il costo più che delle ispezioni e delle analisi ufficiali (in genere provvede direttamente a un congruo numero di  analisi a campione), della burocrazia particolarmente pesante, con la lunga serie di registrazioni cui sono tenuti gli operatori biologici.
Solo le due prime catene a livello nazionale contano su quasi 4.000 punti vendita presso i quali dovrebbero istituire specifiche procedure e registrazioni, con la necessità di personale espressamente formato.
Le catene preferiscono evitare questi costi diretti, limitandosi a vendere prodotti pre-imballati, per i quali agli adempimenti (e ai costi diretti e indiretti, poi inevitabilmente compresi nei costi di cessione alla catena e quindi nel prezzo al pubblico) hanno provveduto le imprese fornitrici. Va anche da sé che per evitare qualsiasi problema nella gestione contemporanea di mele golden o banane biologiche e convenzionali le une devono essere chiaramente distinguibili dalle altre, il che non è per niente facile con il self service.

La situazione è più o meno la stessa in tutta Europa; da qualche anno una grande cooperativa di produttori di biologico olandesi propone per i prodotti per i quali è tecnicamente fattibile una stampa a laser sulla buccia del frutto o dell’ortaggio che le ha fruttato anche premi internazionali. “Uno speciale laser rimuove il pigmento colorato dalla buccia, lasciando il prodotto inalterato e marchiato. Da quando abbiamo iniziato abbiamo risparmiato 29 milioni di unità di imballaggio, il che equivale a 351.760 kg di plastica e un risparmio di C02 che equivale a fare 326 volte il giro del mondo”, spiegano dall’azienda. L’idea è eccellente, ma i volumi per ammortizzare i costi dell’apparecchiatura sono ingenti e con tutta probabilità fuori della portata non solo dei piccoli produttori, ma anche delle medie cooperative e consorzi fornitori della GDO.

Diverso è l’approccio di Almaverde Bio nelle sue isole di biologico. Convinta che la presenza di un commesso che sappia rispondere al consumatore e la riduzione di prezzo possibile con l’azzeramento dell’imballaggio siano in grado di aumentare le vendite (e di coprire il costo del commesso, dell’allestimento, della certificazione e di tutta l’organizzazione necessaria), la società ha aperto nelle location più promettenti dei veri “shop in shop”, facendosi carico direttamente dei costi della certificazione dell’unità di vendita: a essere nel sistema di controllo non è il super o l’ipermercato nel suo complesso, ma l’unità biologica interna, gestita da Almaverde Bio.
Anche questa è un’idea eccellente, ma replicabile soltanto dov’è sostenibile anche economicamente.

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