Una riflessione su come i ricordi di episodi pericolosi possono aiutare a migliorare la sicurezza sul lavoro. (Puntosicuro)

Quando accade un incidente o si manifesta un errore nell’esecuzione di una procedura, che a sua volta può essere fonte di pericolo, è indispensabile procedere alla ricostruzione di quando è accaduto al fine di evitare che l’evento si ripeta. Nel processo di analisi il primo riferimento inevitabilmente va ai ricordi che i presenti hanno di quanto è avvenuto. Un ricordo che, inevitabilmente, dipende dalla capacità che le persone hanno di rievocarne i dettagli: un gesto, un volto o un luogo. Per il nostro cervello si tratta di una operazione tutt’altro che semplice. Infatti, al fine di trasformare tutti questi piccoli dettagli in esperienze reale il cervello deve fondere i singoli elementi in una totalità integrata e coerente, altrimenti rischia di perderne il senso e la stessa efficacia ricostruttiva. 

Nulla di nuovo sotto il sole 

Un’esperienza presente da sempre nella storia dell’umanità: la nostra sopravvivenza è dipesa, nei secoli, dalla capacità di rievocare non soltanto la giusta informazione che abbiamo di fronte (quello che stiamo vedendo è un leone o un serpente?), ma anche di considerare il contesto di questo incontro: diverso è incontrare lo stesso animale in un tratto isolato di savana africana o durante una tranquilla visita allo zoo.
Nella misura in cui l’efficacia del ricordo può permettere di individuare le misure per evitare che un evento negativo si ripeta vediamo alcuni suggerimenti che provengono dalla ricerca scientifica e che possono essere utili per determinare il recupero dei ricordi. 

I ricordi sono concatenati tra di loro 

Tutto parte dall’estremo bisogno di coerenza con cui funziona la nostra mente che ci impone l’esigenza di collegare tra loro i ricordi connessi a un qualsiasi evento in modo organico e, per quanto possibile, coerente. 
Proprio per questo motivo, molte ricerche si sono concentrate proprio su come acquisiamo, archiviamo, rievochiamo e modifichiamo i singoli ricordi, proprio perché gli stessi non sono un’entità singola e isolata gli uni dagli altri. Non solo, ma ogni singolo ricordo ne evoca un secondo e in questo modo il cervello arriva a stabilire continuamente delle sequenze di ricordi che lo aiutano a prevedere e a comprendere meglio il mondo che lo circonda. 

Allocazione dei ricordi 

Un aspetto decisivo su come questi ricordi si intrecciano tra di loro la dobbiamo alla scoperta del concetto di “allocazione dei ricordi”. Ossia la consapevolezza che il cervello usa regole specifiche per assegnare quelli che possiamo chiamare bit di informazione a gruppi di neuroni in regioni del cervello coinvolte nella formazione dei ricordi. Si tratta di un aspetto importante al fine di predisporre i collegamenti rispetto a quanto ricordiamo e che può essere utile rinforzare, come vedremmo successivamente, per una ricostruzione più efficace possibile. 

Come rinforzare i ricordi 

Nella misura in cui, come abbiamo sottolineato, ricordare è importante per analizzare un evento negativo accaduto e evitare che si ripeta appare importante che il ricordo dell’evento venga rinforzato e utilizzato positivamente, e non velocemente dimenticato. Senza però che quatto si trasformi in un aspetto inquietante che può (ma vedremo meglio questa emozione parlando successivamente della paura) bloccare ogni reazione positiva. 
Gallaher, Goodman & Smolik (1993) lavorando sulla memoria emotiva nei topi, videro che alcune sinapsi connessioni attraverso cui comunicano i neuroni) sono formate in modo da poter essere rinforzate. In questo processo la proteina CREB agisce da architetto molecolare. Senza il suo aiuto, buona parte delle esperienze sarebbe presto dimenticate. Non solo, ma il tutto dipende da poche cellule di neuroni dell’amigdala, una regione cerebrale decisiva per la memoria emotiva. Ciò significa che lavorare per ricordare periodicamente un evento favorisce il suo consolidamento. In sostanza riportare alla memoria i ricordi. 

Non temere di suscitare paura 

In questo processo la paura, come detto, ha un ruolo fondamentale. La paura, lo abbiamo più volte sottolineato, non è un elemento di debolezza dell’uomo, bensì l’attivatore delle sue risposte positive alle situazioni di pericolo. Sempre che alla stessa sia accompagnata dalla conoscenza delle misure per farvi fronte. 
Josselyn e altri (2001) hanno mostrato che la probabilità dei neuroni di archiviare un ricordo legato alla paura era quattro volte superiore. Quindi, risulta più facile ricorda un evento negativo se lo stesso è stato accompagnato dalla paura. Non solo, ma i ricordi emotivi non sono assegnati in modo casuale ai neuroni dell’amigdala e le cellule scelte per archiviare quei ricordi sono quelle dotate di una maggiore quantità della proteina CREB. Atta, come detto, a riattivare i ricordi. 

Il tempo del “buon ricordo” 

Fondamentale la constatazione che due ricordi più vicini nel tempo – formati entrambi entro l’arco di un giorno – hanno più probabilità di essere collegati rispetto a quando sono separati da periodi più lunghi. 
Con intervalli molto più lunghi di un giorno, il secondo ricordo non trae più vantaggio dall’attivazione avviata dal primo ricordo, e viene quindi archiviato in una popolazione di neuroni differente. La natura limitata nel tempo del collegamento dei ricordi ha un senso. Infatti, eventi che accadono nell’arco di uno stesso giorno sono probabilmente molto più rilevanti l’uno per l’altro rispetto a eventi separati da una settimana. 
Al fine di confermare questo dato, Cai e Shobe (2016) fecero familiarizzare alcuni topi in due gabbiette durante lo stesso giorno, a distanza di cinque ore. In seguito, ai roditori fu somministrata una lieve scossa alle zampe nella seconda gabbietta. Come era prevedibile, quando in seguito collocarono i topi nella gabbia dove avevano ricevuto la scossa, i roditori si bloccarono, perché ricordavano che lì avevano ricevuto una scossa.
Il risultato decisivo scaturì quando i ricercatori citati collocarono i topi nella gabbia neutra. I ricordi di entrambe le gabbie erano collegati e i topi nell’ambiente neutro si sarebbero ricordati di avere ricevuto la scossa nell’altra gabbia, e di conseguenza si sarebbero bloccati. Ed è proprio ciò che è accaduto. Un intervallo di tempo più lungo cambiava le cose. In effetti, facendoli familiarizzare un’altra volta con la gabbia neutra dopo un intervallo più lungo (sette giorni), gli animali non ricordavano della gabbia e della scossa e non si bloccavano. 

Età e ricordi 

Un ulteriore aspetto sul quale si sono soffermati i ricercatori riguarda l’influenza dell’età dei soggetti interessati sui ricordi. Gli studi condotti sui topi hanno dimostrato che quelli di mezza età non collegavano i ricordi con la stessa facilità dei topi giovani. Anche in questo caso risulta importante il collegamento tra i ricordi e il modo in cui lo suggeriamo. Preston (2008) ha dimostrato che quando i ricordi condividono il contenuto le persone li collegano più facilmente. Rievocare l’uno rievocherà probabilmente l’altro, svelando i meccanismi usati dal cervello per organizzare l’informazione. 

Accendere e spegnere i ricordi 

Diviene, quindi, essenziale produrre un collegamento tra i ricordi in modo che gli stessi vengano attivati in modo da evocare un ricordo completo oppure di smorzarlo. Zhou e Nie (2009), utilizzando minuscoli microelettrodi, hanno misurato con quanta facilità erano attivati i neuroni connessi ai ricordi. L’aumento di eccitabilità (e la maggiore prontezza a ricevere e a trasmettere impulsi elettrici che trasferiscono informazioni tra i neuroni) suggerisce che le cellule potrebbero essere state più predisposte ad avviare la serie di processi necessari per depositare un ricordo. 
Ecco allora che si può attivare artificialmente il richiamo di un ricordo pauroso per attivare neuroni dell’amigdala. Anche su questo aspetto il tempo tra l’evento e il conseguente ricordo diviene decisivo. 

Negli esperimenti con i topi si è visto che un tempo di circa cinque ore permetteva ai topi di formare due ricordi in un gruppo simile di neuroni. Quando il lasso temporale aumentava a sette giorni, questo schema di attivazione sovrapposto non compariva. Cai e il suo team hanno dimostrato che durante un intervallo più breve di cinque ore la sovrapposizione tra i neuroni codificanti ciascuno dei due ricordi era significativamente maggiore di quanto fosse prevedibile in base al caso. Nell’intervallo di sette giorni, la sovrapposizione tra le due esperienze non era significativamente superiore al caso. 

Da quanto ci mostra la letteratura scientifica quindi in caso di interviste per un infortunio sul lavoro è utile gli spezzettamenti di ricordi vengano rinforzati e allocati in neuroni vicini così da permettere facilmente la riattivazione del ricordo complessivo dell’accaduto. Poi, è utile che non passi troppo tempo prima dell’intervista, perché questo porterebbe a perdere il “tempo del buon ricordo”. 

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