L’Accordo Stato Regioni del 07 luglio 2016 e i crediti formativi per Ingegneri e Architetti. La laurea è sempre una garanzia di competenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro? A cura di Carlo Pani. (fonte Puntosicuro).

Non c’è dubbio che ragionare sulle competenze, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, richieste dalla normativa e, ancor più, sull’impatto dei crediti formativi possa essere molto delicato. Prova, tuttavia, a farlo un nostro lettore, Carlo Pani, che cerca di rispondere ad una semplice domanda: la laurea è sempre una garanzia di competenza in materia di salute e sicurezza?

La sua opinione è espressa nel contributo dal titolo “Sicurezza sul lavoro e crediti formativi: quando la laurea da sola non è garanzia di competenza”.

Sicurezza sul lavoro e crediti formativi: quando la laurea da sola non è garanzia di competenza

Quando il 4 settembre del 2016 è entrato in vigore l’ Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016, parecchi Ingegneri e Architetti sono stati felici di potersi buttare nel mondo professionale degli RSPP dovendo fare solo 24 ore di corso anziché intraprendere un percorso formativo di almeno 100 ore.

Inevitabilmente, soprattutto nel settore privato, quando davanti ad un datore di lavoro si presentano alcuni curricula per la scelta di un RSPP o consulente in materia di sicurezza sul lavoro, un laureato in ingegneria o architettura finisce spesso per avere la meglio su un laureato in un’altra disciplina e ancor di più su un diplomato, e questo perché nell’immaginario collettivo, incluso quello di svariati Recruiter, la sicurezza è “roba loro”.

Ma a oggi, nel 2023, a distanza di oltre 6 anni dall’entrata in vigore dell’ Accordo Stato-Regioni, si può ancora affermare che gli Ingegneri e gli Architetti che usufruiscono del credito formativo siano competenti quanto o più degli altri che devono sostenere l’intero percorso formativo?

Per rispondere, dobbiamo analizzare gli insegnamenti dei corsi di laurea con credito formativo per RSPP proposti da alcune università italiane e confrontarli con i contenuti dei Moduli A e B comune per i quali si hanno i crediti, contenuti che riguardano, per sommi capi, le tematiche giuridiche e i rischi tecnici e igienico-sanitari. Io l’ho fatto. Cosa ho scoperto?

Analizzando gli insegnamenti della laurea magistrale a ciclo unico in Architettura LM 4 della Sapienza di Roma, nessun insegnamento sembra interessare l’ambito di salute e sicurezza, né per l’ambito giuridico né per l’ambito rischi tecnici o igienico sanitari. L’unico insegnamento di Diritto riguarda la materia urbanistica, ben lontana però dal diritto penale che si deve masticare in SSL.

Per la laurea triennale in Ingegneria civile (L-7) il discorso è lo stesso. Il laureato alla triennale dovrà iscriversi alla magistrale (LM-23) per studiare un po’ di sicurezza, dico “un po’” perché l’insegnamento denominato Tecniche e Sicurezza dei cantieri sembra essere vincolato a quest’ambito escludendo tutti gli altri. Fatto interessante, questo insegnamento è solo in forma opzionale.

Se facciamo la stessa ricerca per il Politecnico di Milano e l’Università di Bologna, otteniamo risultati molto simili; anche lì infatti alcuni corsi di Ingegneria o Architettura affrontano solo marginalmente le tematiche di salute e sicurezza oppure non le affrontano affatto, risultando ben lontani dal fornire tutti gli elementi presenti anche nei soli moduli A e B dell’ Accordo Stato Regioni 2016.

Ovviamente in Italia esistono corsi universitari di Ingegneria e Architettura in cui le tematiche di salute e sicurezza vengono affrontate in modo ampio e approfondito, anche nelle stesse Università citate sopra. Ma il punto è che l’Accordo Stato Regioni del 2016, in merito alla concessione dei crediti formativi, non opera alcuna distinzione tra Università e i loro relativi corsi, permettendo quindi anche a chi si laurea in un corso sprovvisto di insegnamenti in SSL di ottenere detti crediti.

In quest’ottica, dunque, potrebbe essere molto più competente come RSPP un biologo, un chimico o addirittura un geometra, perito o agrotecnico diplomato che però, al contrario di alcuni ingegneri/architetti, ha frequentato per intero il percorso formativo per RSPP. Proprio per questo motivo alcuni ingegneri e architetti tra i più preparati e stimati hanno deciso comunque di frequentare anche i moduli A e B e poi continuare a studiare, anche per conto loro, nella consapevolezza che di imparare non si finisce mai.

Discorso a parte merita invece l’altra Laurea che beneficia dell’esonero, quella in Tecniche della Prevenzione, per la quale il laureato ha una preparazione decisamente molto ampia in SSL. Tuttavia, a detta di diversi laureati in questa disciplina con cui mi sono confrontato, sembrerebbe che il relativo percorso formativo non prepari efficacemente (se non del tutto) in alcuni ambiti come quello cantieristico, tant’è che tale professionista, a patto di non avere un diploma tecnico, non potrà mai accedere alla professione di CSP/CSE. Addirittura, di recente questo professionista è stato escluso perfino dal ruolo di Esperto in Radioprotezione (si veda il Decreto del Min.Lav. del 09/08/2022) e quindi dalla VdR da Radiazioni Ionizzanti, rischi riconducibili proprio a quelli per cui il TdP dovrebbe essere formato, quelli igienico-sanitari.

A quanto abbiamo detto, si innesta un altro problema intrinseco nella figura stessa, o se preferisci nella professione, dell’RSPP: la natura multidisciplinare di questo ruolo. Essendo infatti questo professionista un punto di convergenza di competenze molto diverse tra loro, come quella giuridica, ingegneristica, psicosociale, medica e altre ancora, non sarà mai possibile inquadrare in un unico ambito accademico in modo davvero esaustivo tutte le competenze che oggi, nel mondo del lavoro così tecnologicamente e gestionalmente complesso, deve avere questa figura, tanto più se consideriamo che l’orientamento prevalente nel mondo delle organizzazioni attuali, nonché degli enti di normazione, sia proprio quello di acquisire e formare professionisti iper-specializzati.

In definitiva, se si vuole risolvere davvero questo ginepraio di competenze, crediti formativi e rivendicazioni professionali, forse l’unica cosa da fare è accettare che una sola figura professionale, almeno per le realtà aziendali più complesse, non può svolgere da sola il ruolo di RSPP. Ma questa è un’altra questione ancora.

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